«In un certo momento avevo pensato di fare un film sul caso Moro, ma poi ho dovuto desistere: mi sono trovato davanti una giungla di menzogne dove tutti hanno mentito, tutti».
Quello sulla morte del leader della Democrazia cristiana è forse il sogno mancato del regista Francesco Rosi, 83 anni a novembre e un passato costellato di film di impegno civile, da Salvatore Giuliano a Le mani sulla città, da Il caso Mattei a Cristo di è fermato a Eboli. Per il resto il fatalismo da napoletano doc aiuta. «Prendo appunti ogni giorno, ho ancora tanti progetti nel cassetto, potrei fare del teatro», scherza con un pizzico di scaramanzia. Rosi è a Fiesole per ricevere il premio Maestri del cinema 2005, riconoscimento che prima di lui è andato anche a Bertolucci, Loach, Bellocchio, Altman, Wenders.
A premiarlo, l'altra sera al Teatro romano, il regista francese Bertrand Tavernier. Fino alla fine di agosto inoltre il Comune, nell'ambito del cartellone dell'estate fiesolana, dedica al regista partenopeo una retrospettiva di tutti i suoi film dal titolo La sfida della verità. «La verità è difficilmente raggiungibile - ammette Rosi - ma il cinema non può prescindere dalla sua ricerca insieme alla rappresentazione della realtà. Il cinema è una strana forma d'arte che vive di cronaca, di documentazione, di testimonianza e di valori estetici. Attraverso i film le popolazioni si conoscono meglio. Ci sono i libri, certo, ma non riescono a dare l'emozione immediata dell'immagine. Oggi si fanno fiction su tutto, ma la storia viene bruciata perchè non sempre un film per la televisione ha una grande capacità di analisi».
Sulla necessità della ricerca della verità Rosi ricorda anche un aneddoto fiorentino. «Prima di iniziare le riprese de Il caso Mattei, venni a Firenze a trovare Giorgio La Pira e discutemmo sulle sue idee di libertà e verità come cardini della democrazia - spiega - ad un certo punto La Pira mi mise le dita sulla fronte e sorridendo mi disse “Oh Rosi, il potere, il potere”, alludendo alle forze occulte che dominano la politica e la società». Interprete impegnato delle contraddizioni dell'Italia e della sua città negli anni '60 e '70, Rosi ammette che oggi sarebbe più difficile ricavare un film sulle vicende contemporanee. «L'Italia di oggi è confusa e in continua evoluzione - dice - e per rappresentare la confusione occorre innanzitutto avere chiarezza dentro di sè. Chiarezza che spesso può dare solo il tempo: ecco perchè di solito faccio almeno passare dieci anni dal fatto che poi racconto nel mio film». Cinematograficamente, Rosi si considera debitore di Luchino Visconti, del quale fu assistente alla regia per La terra trema del 1948 - «è lì che ho appreso tutto» - , ma anche allievo di Roberto Rossellini, «da cui ho imparato a cercare di rubare la realtà per renderla attuale».
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